Salone del Mobile, 2024, crescita continua
Sempre più spazi, sempre più quartieri dedicati (come Paolo Sarpi e lo Scalo Farini), sempre più espositori e visitatori.
Milano Salone del Mobile sorprende ogni anno per la sua capacità di crescita e di attrazione. Quest’anno, 370.824 presenze, + 110.000 rispetto al 2023, + 28,6% operatori di cui il 65,6% che provengono dall’estero.
Gli spazi giocano un ruolo fondamentale nella crescita, non solo quantitativa ma anche qualitativa, del Salone.
Se pensiamo al pionieristico quartiere Tortona-Savona, e poi all’apertura di Brera, Lambrate, Città Studi, Isola, e più recentemente Paolo Sarpi, Mecenate e Dergano nonché comuni limitrofi come Varedo, scatta la fotografia di un evento in una evoluzione assolutamente atipica rispetto ad altre “Fiere” nel mondo, chiuse in aree istituzionalmente dedicate che mai si espandono da sé stesse.
Il Salone del Mobile è una Fiera della città allargata, potremmo dire, pensando al futuro, di Milano città metropolitana?
Il claim istituzionale di Interni, Cross vision, trasferisce la cifra socioculturale dell’evento: incontro tra arte ed industria, tra physical e digital, tra tecnologia ed artigianato, tra natura ed artificio, con quantità di opere effetto della contaminazione di designer e creativi provenienti da tutto il mondo.
Cruciale un altro dei claim in Rho Fiera: Where Sustainibility evolves. Molto vero. Infatti cominciamo da questo concetto per raccontare quelli che ci hanno particolarmente colpito, in questo no-stop girovagare durato una settimana.
Sustainability Everywhere
Ormai un must, quasi ovvia modalità del fare per design e creativi, in effetti quelli che dovrebbero per definizione impersonare le tendenze e questa, non certo o non più una moda, ma una direzione senza ritorno come sappiamo.
Non a caso, il Comune di Milano ha inviato un messaggio ben chiaro promuovendo il progetto Second Life che utilizza i resti degli alberi caduti nell’evento funesto (l’uragano del Luglio 2023) per dare nuova vita ai tronchi abbattuti e ricomposti in opere di rilevanti designer. Un bel segno di coinvolgimento fattivo dell’amministrazione pubblica, quello di Piazza San Fedele.
I processi di sostenibilità al Salone stanno comunque compiendo passi strutturali. Dalle pratiche abbastanza scontate nell’uso di materiali riciclati e riciclabili, ora guidano dal profondo la produzione, ad esempio con la creazione di materiali inediti, anche più performanti e resistenti di quelli convenzionali.
Qualche esempio particolarmente significativo, tra i mille:
il Domal by Idro, un materiale in alluminio post-consumo a basso contenuto di CO2;
la collezione Alder by Patricia Urquiola for Mater, realizzata con una miscela biodegradabile che trasforma i rifiuti in materia prima modellabile;
la nuova collezione Earthic by Silestone XM, di Cosentino di superfici sviluppate in collaborazione con FormaFantasma che evolve il processo attraverso un basso contenuto di silice, materiali riciclati –vetro e pet-, quindi con minore estrazione di materia prima ed emissioni di C02;
la composizione di Stone Grove di Kengo Kuma, sorta di giardino con moduli verticali in quarzo o scarti di risulta dalle cave di marmo, trasformato in granulato di diverse pezzature e forme;
Re-ceramic, progettata da Tom Dixon per Vitra: una linea di sanitari ad alta resistenza che introduce il primo lavabo al mondo in ceramica riciclata quasi al 100%;
ma anche gli arredi della Sala Stampa all’ Università Statale, collaborazione tra Kartell e Illycaffè: consolle e sedie totalmente realizzate con il riciclo delle capsule di caffè.
JOY
La sostenibilità, come si sa, è sempre per lo più associata al concetto del dovere – in primis, quello del “Save the Planet”. Il Salone di quest’anno ce ne offre una versione un po' diversa, più legata alla soggettività del singolo, in particolare in mood ludico. Sarà una reazione ai drammi che ci circondano e che viviamo, sarà la stanchezza di anni di minimalismo con i suoi cromatismi soft, sarà una regressione infantile come reazione alle fatiche della adultità contemporanea?
Più semplicemente, come si diceva prima, sembra esprimersi una dimensione ludico-soggettiva che l’individuo può gioiosamente sperimentare.
Ecco allora installazioni, complementi di arredo, concetti di vario tipo che si snodano intorno a giochi di colori, forti, netti, vivaci, a forte componente (effettivamente) immersiva.
Tanto che due autorialità molto significative teorizzano il gioco e il ludico come fattori costruttivi dell’innovazione, in un legame inscindibile con la sostenibilità.
Primo: l’esposizione collettiva alla House of Switzerland si pone la mission di un design gioioso, focalizzando la necessità di una sua diffusione per tutti, con un forte accento sul superamento del possesso in nome dello sharing, come recita il manifesto del Brand zurighese FREITAG.
Ed ecco gli AIRTUBE: un sistema di divani gonfiabili creato utilizzando camere d’aria di trattori e cinture di sicurezza. L’idea è quella di poterlo prendere in prestito nelle occasioni in cui non si sa dove far sedere i propri ospiti; o Nebula, un poncho di plastica usa e getta, realizzato con tessuti di recupero provenienti da airbag di automobili di serie B.
Secondo: la collezione di Paola Lenti – complementi di arredo per esterni ed interni - in collaborazione con i brasiliani Fratelli Campana, elabora un processo produttivo basato sugli scarti di filati industriali. L’idea non sarà nuova, ma la novità consiste nell’associare questa produzione multicolore al gioco dei bambini, teorizzando il gioco come fonte di creatività e di conseguenza come fattore di cambiamento. Il processo produttivo, totalmente artigianale hand-made, si presta alla inclusività applicando l’abilità manuale dei lavoratori extracomunitari.
Molti altri casi diffusi, comunque, di installazioni gioiose, a dimostrare che di trend si parla:
Hong Chul Wonderland, presentato dal coreano Nooro esibisce uno specchio caleidoscopico con una profusione di colori in vorticoso movimento, a creare una realtà oleografica per la gioia una pletora di tanti bambini portati apposta a godersi la installazione;
lo spazio Lowe Lamps, dove la fonte luminosa viene inserita in oggetti fantasiosi di uso quotidiano: nidi giganteschi, cestini, alberi, leggeri fogli di carta “japanese style”;
l’installazione di Preciosa Lighting, straordinario spettacolo con decine di lampade cubiche in cristallo dai cromatismi cangianti a volte con palette ton sur ton armoniche, a volte in tripudi multicolori dove i cambiamenti cromatici sono sapientemente scanditi dal sound potente di Jurai Mravec.
Tema chiave del Salone di quest’anno, il bagno, anche questo ambiente, da circa 10 anni diventato il “salotto del benessere”, esprime una vena ludica e gioiosa, protagonista l’acqua.
Nelle rubinetterie e le docce innanzitutto.
Le prime – di là dal rigore del declinante acciaio a favore di materiali mat e opachi – utilizzano cromatismi preziosi come il dorato o addirittura materiali atipici come (Gessi) la pelle e il bambù, piuttosto che rubinetterie capaci di fornire una decina di diverse tipologie di acqua (gradazioni di consistenze, da quella ferma totale alla super-gasata, piuttosto che da quella fredda gelida alla bollente pronta per cuocervi la pasta). Ma, super-innovazione, si propone la produzione (sempre dal medesimo iper-funzionale rubinetto) di un fumante caffè.
Novità anche nei soffioni per la doccia: dalle gigantesche strutture che più che docce si avvicinano a cascate di acqua a strutture tubolari che rinunciano al soffione, sostituito da un device in totale continuità con il sostegno, dal design a tratti giocoso.
E poi, colori e colori, anticipando il tema qui successivo. Di là dalle sperimentazioni di Flaminia, da tempo impegnata nel cromatismo sui sanitari, ora questi osano tinture pastello, verdine, rosa, o grigie per vasche lavabi e quant’altro, che, a tendere, forse renderanno il tradizionale bianco una espressione non di igiene totale, ma di malinconia ospedaliera.
Colors & Colors
Ci eravamo da lustri abituati a complementi di arredo, divani soprattutto, dai colori un po' neutri, tortora, grigi, bianchi se vogliamo, con qualche escursione più vivace, ma neanche tantissime.
Quest’anno, girando per gli allestimenti sia nel Fuori Salone sia a Rho Fiera, ricorrono palette diverse – fermi restando i colori classici –, 3-4 colori ricorrenti, in tutte le sfumature di ciascuno, che restituiscono un panorama se non sfavillante, comunque multi-cromatico.
I marroni: da quelli scuri, a volte mattone che può virare verso tonalità di rosso non certo acceso, piuttosto che all’ocra; il verde, tutti le versioni bottiglia, pisello, al verde Umbria. E qualche caso di azzurro. A ben vedere, i colori della terra.
Anche il giallo ricorre in diverse sedi:
in giallo uno dei prodotti icona di Tecnogym, - elaborazione creativa degli attrezzi da ginnastica by un tot di top designer - nella cover della testata Interni;
giallo alla base delle installazioni in Università Statale; giallo la pagina wellcome di Issye Miyake;
gialli tutti i supporti degli oggetti della collezione brasiliana Re-evolution;
giallo il teatrino installato da Unicredit per la recita del coro in Uni Sonos;
giallo il profumato allestimento con limoni (reali) di Cristina Rubinetterie. Ed altro ancora.
Sarà un caso? Marrone, verde, azzurro: i colori della terra.
Giallo: il sole che illumina. Inno subliminale ma speranzoso al pianeta in crisi?
Comfort&Versatility
In parallelo alla diffusione del colore i complementi di arredo diventano sempre più (paradossalmente) “sedibili”.
Da qualche anno in effetti osserviamo il (lento) ridimensionamento delle giga-estensioni: prima, schienali grandi e rigidi, con l’aggiunta di cuscini giganteschi, con necessaria parete di appoggio dato il retro poco estetico; via (o quasi, parliamo di tendenze ovviamente) le sedute ampissime, piatte e tese, ulteriore fattore di scomodità per le taglie di 1 metro e 80 di altezza.
Ora: divani e sedie si presentano a “tutto cuscino”, rinunciando a strutture rigide di sostegno, sostituite da scocche leggere che abbracciano tutta la struttura fino a conformare i braccioli con generose imbottiture che conferiscono morbidezza ed effetto relax. E qualora permanesse uno schienale rigido, questo appare sottilissimo, comunque dotato di copiose serie di cuscini liberi.
Gli esempi non si contano.
Citiamo solo i Brand più noti come benchmark di tendenza:
la poltrona Coraro di Cassina, design Carlo Scarpa, dove “il rigore geometrico della base lignea abbraccia la morbida seduta”;
la Palatina di Roche Dubois by Christophe Delcourt interamente costituita da grandi cuscini;
la “silhouette morbida e rotonda” di Calligaris, sostenuta solo da due inserti in frassino;
la Squash di Poltrona Frau, by Faye Toogood, “morbida, giocosa, gonfia”.
Tra i divani campeggiano la new release di Flexform, che esagera in gigantismo con un triposti che in realtà potrebbero essere sei nelle normali misure, ma con struttura totalmente cuscinosa sostenuta da una scocca leggera, elegante, curata nei minimi dettagli; ma la nuova collezione di Edra, che libera i cuscini dallo schienale, forma classica o di lunghi morbidi rotoli, lasciandoli vagare per le estese sedute affinché il corpo possa assumere le posizioni che desidera adattandosi a suo piacimento – come ci racconta l’affascinante designer Pierfrancesco Bonfarè.
Apoteosi del confort living, il divano/seduta Morphus: un esempio di tecnologia del benessere attivo che – obbligatorie le cuffie per immergersi in un sound tribale – favorisce la promessa di una esperienza energizzante, rilassante, meditativa e quant’altro.
In questa evoluzione delle sedute risuona l’eco delle nuove tendenze dell’abitare effetto dell’esperienza pandemia-Covid 19.
La rivalutazione dello spazio domestico, più abitato di prima e quindi richiedente spazi e luoghi confortevoli, spazi adibiti a molteplici funzioni, sia diacronicamente sia longitudinalmente, suggerisce complementi di arredo anch’essi capaci di accoglienza e di mobilità, evitando destinazioni obbligate – e per sempre – come i divani con le rigide spalliere appoggiate alle pareti, mentre ora si esige lo spostamento in uno medesimo ambiente, o da un ambiente all’altro, facendo bella mostra di sé, nella loro complessiva struttura, anche al centro di una stanza.
Il comfort per certi aspetti ereditato dalla pandemia si declina in una ulteriore nuova versatilità.
Non certo quella pluridecennale di oggetti modulari e fungibili, in verticale, in orizzontale, spostabili, che fossero armadiature, cassettiere o addirittura letti: una versatilità necessariamente permanente ma senza indurci in particolari wow!
Abbiamo invece notato segnali innovativi nelle installazioni, se non ancora nei prodotti in vendita, che però, per nostra esperienza, la dicono sempre lunga sulle tendenze a venire.
In un’ottica di componibilità-versatilità, ecco i bagni di Agapè 12 dove oltre a vasca e lavabi, vengono collocati, tavolini da pranzo o per lettura, e leggere strutture per divani.
O quelli di Antonio Lupi, che colloca confortevoli poltroncine (oltre che a oggetti ornamentali debitamente colorati a richiamo del JOY) nell’ambiente dei suoi bagni.
O anche cucine come Scic o Balthus ove divani e altre sedute si accompagnano agli ormai consueti tavoli/dining obbligatori in qualsiasi cucina up-market.
Le cucine nella tendenza comfort versatility, sono, quasi tutte, a scomparsa con effetto parete - a parte due persistenti autonomie sì e no percepibili: il lavandino, collocato sul piano di lavoro dell’immancabile isola e il piano cottura, anche qui apoteosi del non-vedibile grazie alla tecnologia ad induzione con divisori per aree cottura a tratteggio etereo, e cappe aspiranti ivi incastrate quindi, anch’esse, nascoste.
A maggiore ragione, nella cucina a parete, frigorifero, forno, cassetti, cassettiere, winery canteen, e qualsiasi altro spazio funzione, è abolito. O per lo meno nascosto da strutture lineari a battente o scorrevoli apribili solo alla bisogna e generanti un effetto di ordine totale.
Anche qui vige l’effetto nuovo abitare. La cucina, prima cooking e da una ventina di anni anche dining, diventa spazio continuativo con il sitting, e luogo per altre attività come lo smart working insegna, esigendo per questo un look conforme.
Heritage Reloaded
Il rapporto tra passato e presente è stato un tema sempre presente al Salone, ma quest’anno esplode in molteplici significati.
Il primo: la pletora di produttori che festeggiano l'anniversario, che sia quello aziendale o semplicemente di un prodotto-icona. Il passato viene recuperato come savoir faire permanente nei decenni, cifra reputazionale, garanzia di stabilità aziendale, base solida di competenze per poter sempre innovare e rinnovarsi.
Anche in questo caso, non è detto che nel clima perdurante di incertezze richiamare storia e competenze possa fungere da garanzia e da rassicurazione.
Elenco noioso ma parlante, per citarne alcuni peraltro con heritage temporali alquanto diverse tra di loro: i 150 anni di Anonima Castelli; i 150 di Geberit; i 90 di Molteni – festeggiati con un impegnativo testo sul Design Italiano; i 90 di Boffi; i 70 di Cor; i 30 anni del sodalizio tra Cassina e Philip Starck; i 65 di Natuzzi, i 40 di Tecnogym, i 20 di Gervasoni. Eccetera.
Nel registro dell’Heritage Reloaded si colloca anche il richiamo, nei processi produttivi, alla sapienza storica di produzioni del passato ma rieditate ex novo sulla base delle tecnologie contemporanee. Eclatante, insediato a Palazzo Clerici e Promosso da Bottega Veneta con Cappellini, la riedizione dello sgabello di Le Corbusier in versione smaltata e colorata, venduta al pubblico.
Ma gli esempi si possono moltiplicare; Battilossi, produttore di tappeti contemporanei, divide il lavoro tra il design svolto in Italia e la produzione rigorosamente artigianale in Nepal e Pakistan dove
l’azienda possiede manifatture che occupano manodopera locale: risultato, oggetti di rara bellezza e poesia quanto a tessuti, fantasie e cromatismi.
In maniera un po' più convenzionale, Carl Hansen& Son riedita in versione baby la celebra seduta per adulti CH24; Zanotta riprende Gomma, disegnata negli anni 70, così come molte vengono recuperate da altri designer e produttori attingendo allo stile di quegli anni.
Eclatante, la ricostruzione by Redisegn della gigantesca torre in Largo Treves che restituisce nuova vita all’archivio storico di Nero Sicilia con materia prima da produzioni e ricerche del passato.
Location atipiche
Last but not least, le location. Anche qui, si dirà, nulla di nuovo. Il Salone tipicamente offre appartamenti privati che si svuotano per accogliere allestimenti, da Lago ad Archiproducts.
Ma quest’anno si sono moltiplicati i siti, anche inediti, aprendo possibilità anche fuori Milano:
Casa Ornella, quest’anno titolata “Porno-chic, a far l’amore comincia tu” con intriganti allestimenti erotici ad opera di numerosi artisti autori dei diversi ambienti, all’appartamento Spagnolo in Corso Venezia allestito da designer nazionali; dalle sedi degli stilisti (diversamente dalla showroom normalmente visitabili), come Casa Versace o Palazzo Orsini di Armani, o la sede di Artemest, dimora del 1905 a Milano in via Toti.
Soprattutto è l’esplosione della periferia o addirittura del fuori Milano: quest’ultima, con la atavica villa Bagatti Valsecchi a Varedo che ha ospitato la trasferta dei design sperimentali di Alcova (visita impraticabile per chi non si fosse messo in coda con un anticipo sull’orario di apertura), piuttosto che gli spazi di via Mecenate, ospitanti il designer Belga, all’insegna di Baranzate Ateliers, entusiasmanti per la loro estensione capace di contenere comodamente opere di grandi dimensioni, all’insegna di un sound più che adatto considerando la varietà degli stili, piacevole e intrigante, che meglio non si poteva fare.