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Il Teatro che Cura. Emozioni in scena: il teatro che nasce dall’ascolto - di Francesca Conforti


Quando l’arte incontra l’umanità, il palcoscenico diventa spazio di liberazione. È il caso di "Senza parole", lo spettacolo con cui la compagnia teatrale Geniattori ha conquistato il prestigioso Premio Maurizio Costanzo, superando 25 altre compagnie teatrali da tutta Italia.


La compagnia, nata dieci anni fa dall’iniziativa di un gruppo di genitori della scuola dell’infanzia Sant’Anna di San Donato a Monza, ha costruito negli anni un percorso artistico basato sull’inclusione, sulla narrazione collettiva e sulla responsabilità sociale. Ma è con "Senza parole" che i Geniattori hanno portato la loro arte oltre i confini del teatro tradizionale, entrando in uno degli spazi più complessi e bisognosi di umanità: il carcere.

 


Un progetto di teatro e umanità nella Casa Circondariale di Monza


Lo spettacolo è il frutto di un laboratorio teatrale realizzato insieme a tredici detenuti della Casa Circondariale di Monza, nella sezione Luce. Un’esperienza artistica, ma soprattutto umana, nata da tre intense sessioni di brainstorming — della durata di due ore ciascuna — condotte da Francesca Conforti e Paolo Piffer, durante le quali i detenuti sono stati invitati a raccontare, momento per momento, la loro giornata tipo, esplorando le emozioni che accompagnano ogni istante: dalla speranza del risveglio alla malinconia della notte.


Queste testimonianze sono poi diventate la materia viva del copione, costruito in un processo di co-creazione guidato dal direttore artistico Mauro Sironi. Il risultato è uno spettacolo corale e profondo, che si sviluppa in undici quadri emotivi, ognuno dedicato a un sentimento: rabbia, nostalgia, gratitudine, paura, desiderio, solitudine, stupore… Uno spaccato intimo e sincero di vite sospese, ma mai spente.

 


Un linguaggio oltre le parole


Il titolo "Senza parole" non è solo un riferimento alla forza del linguaggio teatrale non verbale, ma anche un invito al pubblico a lasciarsi coinvolgere senza giudizio. Attraverso la drammaturgia fatta di verbalizzazioni — le parole esatte dei detenuti, riportate fedelmente — il pubblico è portato a entrare, con delicatezza e rispetto, in un mondo solitamente invisibile, quello della detenzione, che troppo spesso viene ridotto a stereotipi e numeri.


 Il successo dello spettacolo risiede proprio qui: nella capacità di toccare corde profonde, di restituire dignità, di spostare lo sguardo da un sistema punitivo a uno rigenerativo e rieducativo, in cui l’arte diventa ponte tra dentro e fuori.

 



 Il riconoscimento della giuria


 La giuria del Premio Maurizio Costanzo, intitolato alla memoria di uno dei più importanti comunicatori e intellettuali italiani, ha premiato i Geniattori per

“la sensibilità, la profondità e l’originalità del progetto”.

Un riconoscimento che non è solo artistico, ma anche culturale e sociale, perché dà valore a un modo di fare teatro che è anche intervento civile.


La premiazione ufficiale si svolgerà il 20 maggio presso il Teatro Parioli-Costanzo di Roma, alla presenza di rappresentanti istituzionali, operatori culturali, e — si auspica — di una delegazione della Casa Circondariale di Monza.



Creatività in carcere: un investimento sulla persona


L’esperienza dei Geniattori non è un caso isolato, ma si inserisce in un crescente movimento che riconosce il valore delle attività creative nelle carceri. Il teatro, in particolare, ha dimostrato di essere uno strumento potente di trasformazione: permette ai detenuti di esprimere sé stessi, di ricostruire la propria identità, di rielaborare traumi e colpe, e di sviluppare competenze relazionali e comunicative utili anche al reinserimento nella società.


Studi internazionali hanno confermato che i percorsi artistici in carcere possono contribuire alla riduzione della recidiva, migliorare il clima detentivo e favorire un maggiore coinvolgimento degli operatori penitenziari e della comunità esterna.


In un tempo in cui si parla sempre più spesso di giustizia riparativa e di modelli di detenzione più umani, esperienze come quella dei Geniattori ci ricordano che cultura, empatia e ascolto sono strumenti fondamentali per costruire un futuro diverso — dentro e fuori dal carcere.



Perché, come dice un passaggio dello spettacolo:

"Qui dentro, ogni giorno è sempre lo stesso. Ma quando recitiamo, anche solo per un’ora, sentiamo di essere altrove. Sentiamo di essere vivi”.

 

Francesca Conforti, Psicologa e Ricercatrice Qualitativa


 
 
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