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Packaging ‘ostile’: quando aprire una scatoletta diventa un problema sociale di Giulia Fabrizi e Alessandra Rizzo

Scatolette, barattoli, blister e tappi di sicurezza: le piccole sfide quotidiane di chi vive con mani fragili, disabilità o malattie croniche. E perché le aziende devono cambiare approccio.



In un’epoca in cui parliamo sempre più di inclusione, sostenibilità e innovazione sociale, c’è un problema concreto e quotidiano che resta spesso invisibile: aprire una scatoletta può essere un’impresa.

Non solo per gli anziani, ma per tutte le persone che vivono con una disabilità motoria, sensoriale o cognitiva, o che affrontano anche disagi temporanei come un polso slogato, una tendinite o una convalescenza post-operatoria.

 

Un problema concreto che incontriamo ogni giorno, nelle nostre ricerche sul campo

Durante la nostra attività professionale, in cui conduciamo regolarmente focus group, interviste individuali e indagini etnografiche con anziani, persone con disabilità e caregiver, questo tema emerge con costanza, come esperienza concreta, quotidiana, centrale in termini di autonomia e dignità.

Molti partecipanti raccontano episodi ricorrenti legati a:

  • “scatolette di tonno o carne con linguette che si spezzano o non si sollevano”;

  • “barattoli a chiusura ermetica impossibili da aprire senza aiuto”;

  • “flaconi di medicinali con tappi ‘di sicurezza’ che diventano barriere all’assunzione regolare delle terapie”;

  • “Detersivi e altri prodotti per la casa come l’acqua demineralizzata per il ferro da stiro che non si riescono a tenere in mano tanto sono pesanti”


Alcuni citano nomi di brand noti come esempio emblematico della frustrazione vissuta. I brand vengono così spontaneamente associati a episodi di fatica o difficoltà, segnalando che il packaging è parte dell’esperienza di marca.

 

 

Piccoli gesti, grandi ostacoli

Aprire un barattolo di pomodori, una scatoletta di tonno, un blister di farmaci o una confezione di cibo per animali, sollevare e tenere in mano un prodotto per la pulizia della casa dovrebbe essere un gesto semplice e naturale. Ma per chi ha difficoltà motorie, forza ridotta, dolori articolari, tremori, ridotta sensibilità o una coordinazione limitata, questi gesti diventano vere e proprie barriere all’autonomia.

 

Non è solo una questione pratica. È una questione di dignità, inclusione e benessere psicologico: dover sempre chiedere aiuto toglie indipendenza e può generare frustrazione, isolamento e senso di inadeguatezza.

 

 

A chi serve un packaging più inclusivo?

Un packaging pensato per essere più accessibile non è utile solo alle persone anziane. È una risorsa fondamentale per una vasta fascia di popolazione che, per motivi diversi, si trova a convivere con limitazioni fisiche, sensoriali o cognitive.

Pensiamo, ad esempio, a chi soffre di artrite, tunnel carpale o altre patologie croniche alle mani, che rendono difficile compiere gesti semplici come tirare una linguetta o svitare un tappo. Anche le persone con disabilità motorie o neuromotorie, che hanno una mobilità ridotta o gesti meno precisi, si trovano spesso in difficoltà davanti a confezioni troppo rigide o meccanismi complicati.

Le criticità non si limitano alla manualità: un packaging poco leggibile o con aperture non evidenti può rappresentare un ostacolo anche per chi ha disabilità visive, come ipovedenti o ciechi, che non riescono a individuare facilmente l’inizio di una pellicola, un’apertura facilitata o le istruzioni d’uso.

Allo stesso modo, le persone con disabilità cognitive o neurologiche possono incontrare difficoltà nel comprendere sistemi di apertura complessi o poco intuitivi, specie se associati a farmaci o integratori che richiedono attenzione e precisione.

Infine, non bisogna dimenticare chi, pur non vivendo con una disabilità permanente, attraversa momenti di fragilità temporanea: un infortunio, un intervento chirurgico, o anche semplicemente una fase di stanchezza fisica. In tutti questi casi, ciò che solitamente appare come un gesto semplice, come aprire una confezione, può trasformarsi in una vera fonte di disagio.

Includere significa tenere conto di tutte queste situazioni. Perché progettare un packaging accessibile non è un favore a pochi, ma un vantaggio per tutti.

 

Alcuni dei settori che dovrebbero ripensare il packaging

Il tema dell’accessibilità del packaging riguarda trasversalmente più settori industriali, che hanno oggi l’opportunità, e la responsabilità, di ripensare i propri prodotti alla luce di una maggiore inclusività.

In primo luogo, l’industria alimentare è chiamata a interrogarsi su soluzioni di confezionamento che rendano più semplice l’apertura di scatolette, barattoli e vaschette, spesso progettati per la conservazione e la sicurezza, ma non per l’usabilità.

Allo stesso modo, chi produce conserve, sottaceti e salse dovrebbe investire in meccanismi di apertura facilitata, alleggerendo i materiali e riducendo la forza necessaria per rompere la chiusura ermetica, ancora oggi un vero ostacolo per molte persone.

Anche il settore del cibo per animali, che spesso si rivolge a persone anziane o con limitazioni motorie che vivono sole con un animale da compagnia, dovrebbe tenere conto delle difficoltà reali che queste persone affrontano nell’aprire bustine, vaschette o barattoli.

Un’attenzione particolare va posta al settore farmaceutico e degli integratori, dove blister, flaconi con tappi di sicurezza, fialette da mescolare e stick orosolubili spesso presentano meccanismi complessi, poco intuitivi o dolorosi da gestire con mani fragili. È paradossale che proprio ciò che dovrebbe aiutare la salute possa diventare fonte di frustrazione.

Infine anche il settore dei detergenti per la pulizia della casa con packaging spesso pesanti e di difficile presa e apertura dovrebbe ripensare al peso, alla size e all’apertura di alcune confezioni.

 

Questi settori hanno tutte le competenze e le risorse per attivare un cambiamento concreto: serve solo la volontà di ascoltare gli utenti, coinvolgere chi fa ricerca e progettare per l’inclusione, non come un’eccezione, ma come nuovo standard.

Molte di queste aziende hanno già attivato processi di sostenibilità ambientale. Ora è il momento di affiancare anche la sostenibilità sociale, partendo da un design che non esclude.

 

 

La soluzione? Ricercare, testare, ascoltare

Ripensare il packaging non può essere solo un esercizio tecnico o un restyling estetico. Deve partire dall’esperienza concreta delle persone, da ciò che accade ogni giorno nelle loro case, nelle loro mani, nei piccoli gesti spesso dati per scontati, per trasformare queste esperienze in innovazione concreta. Servono professionisti capaci di ascoltare profondamente, osservare con attenzione e interpretare con competenza.

I ricercatori esperti, con anni di esperienza nel comprendere i comportamenti quotidiani, le abitudini d’uso e le difficoltà che le persone incontrano nel rapporto con oggetti semplici come una scatoletta o un blister, sanno come dare valore ai dettagli, a far emergere quelle criticità che non appaiono nei dati numerici, ma che fanno la differenza tra inclusione e frustrazione.

Questi ricercatori non si limitano ad ascoltare: sono anche in grado di testare prototipi, valutare le soluzioni in condizioni d’uso reali, misurare l’efficacia comunicativa e funzionale del packaging, e assicurarsi che ogni scelta progettuale sia comprensibile, accessibile e coerente con le esigenze dell’utente.

Grazie a un approccio integrato e centrato sulla persona, le aziende possono essere accompagnate verso un packaging che non solo protegge il prodotto, ma rispetta la dignità, semplifica la vita e restituisce autonomia a chi lo usa. Perché l’innovazione più significativa è quella che si vede nei gesti quotidiani.

 

 

Ridisegnare una chiusura, semplificare una linguetta, ripensare un blister: non è solo innovazione tecnica, ma atto di responsabilità sociale.

In un mondo che vuole davvero essere accessibile, il packaging non può più essere un ostacolo, ma deve diventare un alleato. Pensiamo ad alcuni brand di acque minerali che hanno proposto anche la size da mezzo litro che ormai è sulle tavole di molte persone che avrebbero difficoltà a maneggiare quella da un litro e mezzo.

 

Ripensare il packaging è il primo passo per trasformare un gesto semplice in un'esperienza inclusiva e rispettosa di tutte le persone.


Giulia Fabrizi, Ricercatrice Qualitativa, fondatrice di Almar Quality Research e di TAMTAMING.

Alessandra Rizzo, Ricercatrice Qualitativa, Coach, fondatrice di Sé Synergic Evolution.


 
 
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